SOVANA IN ARTE
Francesca Ventura
Sono sempre emozionata, prima di un debutto. Sono emozionata se va in scena un concerto, sono emozionata se proiettiamo un film, figuriamoci se ad andare in scena è un mio spettacolo, dove per di più debutta mia figlia! Finisco di prepararmi e apro la finestra, per dare uno sguardo al cielo immenso, costellato di stelle vicinissime. E’ una notte senza luna, illuminata appena dalle luci lontane e tremule di Sorano e Pitigliano. In lontananza, l’ombra scura del Monte Amiata. L’odore del bosco , che protegge la necropoli etrusca, mi avvolge con il suo respiro di macchia, misto ai profumi delle erbe aromatiche, dei gelsomini e del glicine, che provengono dal giardino dove lo staff dei giovanissimi addetti all’accoglienza sta lavorando allegramente per allestire il banchetto del dopo-spettacolo.
Mi affaccio all’altra finestra, per guardare gli spettatori ritardatari che si affrettano a lasciare la piazzetta di Sovana, che accoglie casa mia e quindi il mio Teatro: Palazzo Bourbon del Monte .
Mio padre ha impegnato più di quindici anni a riportare il Palazzetto alla sua struttura iniziale. Penso che sarebbe felice di vedere che la dimora, edificata nel ‘500 dall’architetto Vignola, è tornata alla sua destinazione originaria. Si, perché qui, proprio in questo salone dove mia figlia piccolissima si divertiva ad andare in bicicletta, in questo salone che da spazio vuoto è diventato casa e che da casa è diventato Teatro, cinque secoli fa si faceva musica. Musica per il vescovo Bourbon del Monte, di passaggio a Sovana per riscuotere tributi.
Ecco perché il Palazzetto si erge tra due chiese: l’antica chiesa di San Mamiliano, oggi museo dove è esposto il famoso tesoro ritrovato; e Santa Maria, splendida basilica romanica che accoglie uno ciborio in pietra di rara bellezza, unico esempio di arte preromanica esistente in Toscana.
Ora che il mio sguardo ha vagato su tutto quello che mi circonda e che amo sono più tranquilla. Chiudo le finestre e scendo. In camera di mia figlia, che durante la rassegna viene adibita a camerino per gli artisti, c’è il consueto panico prima della prima. Gli attori, nei loro costumi novecenteschi, sono pronti: elettrizzati, concentrati e terrorizzati. Insomma sono come devono essere.
Li “benedico” con la consueta frase scaramantica, poi apro la tenda che ci separa dalla sala e salgo sul palco per annunciare l’inizio dello spettacolo. Lo scroscio di applausi che mi accoglie mi fa ricordare che la prossima estate debutterò, su queste tavole, con il v° canto dell’inferno di Dante. Un concerto per danza, voce e orchestra …e allora sarò io quella da benedire con la solita frase scaramantica!