giugno 2013
Numero 13

Intervista a Francesco Moser

Matteo Ciaghi

 

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Dopo tante corse (273 vittorie su strada), Francesco Moser è tornato alla pace delle sue origini: i vitigni, la tradizione, la passione per la sua terra. L'azienda agricola Maso Villa Warth, fondata insieme al fratello Diego, riesce a riassumere, nella sua produzione, tutti questi elementi. Anche e sopratutto grazie alla sua collocazione geografica, il Trentino.

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Lanciato nel 1928, il Tour de Pologne negli ultimi 20 anni si è “aperto” sempre più alla presenza di ciclisti internazionali, consolidando la propria dimensione di gara di primo livello. Che ricordi ha del Tour e come è nata la sua amicizia con il patron della gara, Czesław Lang ?
Ai miei tempi al di là della cortina di ferro lo sport era praticato da dilettanti. Il giro di Polonia era destinato a loro. Quando ho smesso di correre sono andato diverse volte a vederlo, anche perché lo aveva preso in mano Lang, che aveva fatto parte della mia squadra qui in Italia negli anni 1983 e '84 e del quale ero rimasto amico. Da noi più tardi gareggiò anche nel team di Saronni. Solo dopo la caduta del muro di Berlino quella gara passò ai professionisti. Un po' alla volta, con modifiche e adattamenti Lang riuscì a migliorarne le caratteristiche, a renderla sempre più importante, fino a inserirla nelle World Tours, nel circuito delle più importanti manifestazioni ciclistiche internazionali. Da qualche stagione parte da Paesi fuori dalla Polonia e proprio tre anni fa fui io a lanciargli l'idea di partire dall'Italia. Ne fu entusiasta. La vittoria di Moreno ha fatto il resto. Così quest'anno il Giro di Polonia partirà da Napoli e farà due tappe in Trentino, girandolo in lungo e in largo, su e giù per le montagne, toccando le più famose stazioni turistiche da Madonna di Campiglio a quelle delle altre vallate. In Trentino vengono molti turisti polacchi, soprattutto a sciare. La Provincia e le Apt hanno colto l'occasione per una proficua azione promo-pubblicitaria della nostra terra.

Quali sono le tradizioni e il valore del ciclismo in Italia e in particolare nella famiglia Moser?
Il ciclismo in Italia è stato un fenomeno sportivo e popolare insieme, fin dalle sue origini. Ha richiamato folle sulle strade, ha saputo coinvolgere, entusiasmare e appassionare tanta gente. Nella mia famiglia andar in bicicletta è una tradizione. Cominciò Aldo e poi lo seguimmo tutti, Diego, Enzo e io per ultimo, che sono del 1951. Oggi sono in sella mio figlio e mio nipote...


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Lei è nato tra le Dolomiti, che significato ha per lei la montagna e che peso ha avuto e ha nella sua vita?
La montagna mi è sempre piaciuta. A piedi ci vado poco, preferisco godermela in bicicletta. Invece la frequento volentieri d'inverno con gli sci ai piedi. Nelle gare per me è sempre stata un problema. Non era terreno adatto alle mie caratteristiche fisiche. In montagna ho sempre cercato di difendermi.
Quando ha cominciato a gareggiare?
Avevo 18 anni quando Aldo, che era agli ultimi anni della sua carriera, mi ha dato una bici delle sue e mi ha detto: “Perché non provi?” L'ho ascoltato e...lì è cominciata la mia carriera. Un anno di allievi, due fra i dilettanti e nel 1972 ero professionista.

Il ricordo più entusiasmante della sua carriera?
La vittoria al Giro d'Italia, anche se il record dell'ora ( in Messico ottenne la massima distanza percorsa in un’ora che apparteneva da dodici anni a Eddy Merckx, ndr) e il mondiale mi hanno dato tanta soddisfazione.

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Quali sono i principali cambiamenti nel ciclismo di oggi rispetto a quello dei tuoi tempi?
Ai miei tempi i protagonisti eravamo in pochi, sempre quelli, che si confrontavano e si battevano nelle stesse gare. Le squadre erano poco numerose, dai 12 ai 14 elementi, adesso arrivano anche a 25/28 unità. Oggi c'è più specializzazione: c'è chi va forte a cronometro e vi si dedica completamente, chi sprinta meglio di altri in volata e cura questi aspetti, chi va bene sul passo e chi sa scalare meglio le montagne....noi dovevamo andar forte dappertutto.
Oggi i corridori sono comandati dalle ammiraglie con le radioline. Noi invece ricevevamo qualche informazione lungo la strada e decidevamo cosa fare sul momento. Oggi non si può più sbagliare niente.Intervista a Francesco Moser image

Secondo lei quanti km di tappe cronometro ci dovrebbero essere in un tour?
L'ideale sarebbe che la corsa fosse bilanciata equamente per tutte le specialità. Invece troviamo 7 o 8 tappe in salita, naturalmente a vantaggio dello spettacolo, difronte a due o tre a cronometro, che secondo me sono sufficienti.

Nelle tappe di montagna vediamo che la battaglia tra i leaders arriva sempre alla fine (ultima salita). Perché?
C'è qualcuno che attacca prima, ma chi si scopre per primo perde. I più forti aspettano la fine; la selezione avviene comunque. Non ci sono più attacchi da lontano, anche perché le tappe si sono molto accorciate.

Cosa contraddistingue il professionista?
Occorre soprattutto avere una specialità in cui si eccelle e curarla: essere forti nelle volate o a cronometro o in salita, cui vanno aggiunti carattere, convinzione e capacità di sottoporti a tanti sacrifici.