giugno 2013
Numero 13

Vittoria ai piedi dei monti Tatra:

Intervista a Moreno Moser

Matteo Ciaghi

 

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Inseguendo un piccolo trattore con rimorchio ci avviamo nel centro di Palù di Giovo, un piccolo paesello della Val di Cembra adagiato su un pendio, tra vigneti terrazzati e serre per i piccoli frutti; e in un baleno arriviamo alla casa di Moreno Moser. Una casa semplice, come il ragazzo che ci accoglie e che ci invita ad accomodarci prima di inziare a raccontare.
“Quando ero piccolo, nei giovanissimi, non vincevo mai. Ero uno di quelli delle retrovie del gruppo che arrivava spesso al 17esimo posto e che poteva essere contento di un quarto posto come miglior piazzamento di stagione. Ma a quei tempi, andavo in bicicletta per stare con gli amici; anche se non vincevo riuscivo a divertirmi ugualmente. La sconfitta l'ho sempre presa bene, faceva parte del gioco, e anche da perdente, ho continuato ad andare in bici. Poi, con il passare del tempo, le cose sono cambiate...”

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Ciclista si nasce o si diventa?
Si nasce e si diventa. Bisogna avere una buona base, una famiglia alle spalle che sappia dare un'educazione, che sappia insegnare cos'è il sacrificio. Non basta il talento, servono determinazione e impegno.

Quando hai capito che il ciclismo poteva diventare una professione?
Ho iniziato ad andare forte intorno ai 16-17 anni e ho capito che potevo farcela. Tuttavia ero ancora indeciso se buttarmi nel ciclismo o continuare gli studi. Una scelta difficile dove è prevalsa la passione per la bici. Quando vai forte ti diverti, provi delle grandi emozioni, ma l'allenamento è un lavoro costante e faticoso e, per quanto possa piacere, richiede grandi sacrifici.

Qual'era il tuo sogno da bambino?
Il mio sogno da bambino era di diventare un ciclista professionista. Mi ricordo che fantasticavo con mio cugino Ignazio; lui pensava di poter diventare un velocista, io uno scalatore... ed eccoci qua, ci siamo quasi riusciti.

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Appartenere alla famiglia Moser che ha segnato la storia del ciclismo è un'eredità pesante o un vantaggio?

È sicuramente un vantaggio perchè conosci già cosa comporta la vita del ciclista; vivi in un contesto che da sempre si è relazionato al mondo del ciclismo. È poi vero che devi confrontarti sempre con chi ha collezionato molte vittorie e temi che la gente si aspetti da te grandi cose, ma questo è pure uno stimolo.

Il valore del ciclismo in Italia e per la famiglia Moser?
Purtroppo in Italia sembra che il ciclismo viva del passato, di ricordi. Senza andare ai tempi di Coppi e Bartali anche ai tempi di mio zio Francesco le corse erano molto seguite e i ciclisti erano quasi degli eroi... Ora a causa di un ciclismo deviato si è perso il fascino. Sta a noi giovani ricreare un'immagine pulita di questo sport. Per riuscirvi bisogna vincere ed entusiasmare. L'ultimo che vi è riuscito è stato Pantani.

Ma anche Moreno Moser sta regalando emozioni, il tuo fan club è stato subito un successo...
È vero ma raccolgo l'eredità di mio zio anche tra i tifosi. Molti degli iscritti sono ancora quelli che seguivano Francesco Moser.

La montagna e le Dolomiti che significato hanno per te?
La montagna, e le Dolomiti in particolare, mi fanno sentire a casa; per me rappresentano le tappe significative del Giro d'Italia: sono le grandi imprese di Gilberto Simoni, che abita qui a Palù di Giovo e le scalate di Pantani che sono andato a vedere in azione da piccolo con mio padre. Le Dolomiti sono sinonimo di grandi emozioni anche se si fatica meno a pedalare su montagne con salite meno ripide.

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Nel ciclismo prevale più l'aspetto individuale o il gioco di squadra?
La squadra sicuramente è importante ma deve esserci sempre un capitano con forza e volontà per vincere.

In bici conta di più la testa o contano di più le gambe?
Direi un 70% la testa e un 30% le gambe. La forza di volontà è determinante.
Ad esempio al Tour de Pologne l'anno scorso, alla sesta tappa nell'ultima salita mi sono venuti i crampi. Ho pensato che fosse finita. Poi mi sono convinto che dovevo arrivare alla fine, ho stretto i denti, ho messo un rapporto sempre più agile e sono arrivato in cima alla salita. Il resto lo avete visto anche voi, ho trovato una gamba che forse non avevo mai avuto prima!

Raccontaci il tuo Tour de Pologne
Al Tour de Pologne mi sono trovato subito a mio agio. La corsa era adatta alle mie caratteristiche. Era la prima volta che andavo in Polonia e ho potuto apprezzare i bellissimi panorami e percepire il calore della gente anche se non ho avuto neppure il tempo di godermi le vittorie. Nelle corse a tappe purtroppo si riesce a gioire della vittoria per una decina di secondi poi il pensiero va al giorno dopo. Nell'esperienza in Polonia mi ha stupito il grande pubblico che ci ha accompagnato.

Rimaniamo al Tour de Pologne. Due vittorie in due tappe con due arrivi spettacolari...
La prima tappa me la sono giocata bene, mi sentivo in forma e ho pensato che la mia unica carta fosse quella di sorprendere tutti un po' prima della volata. Così mentre gli altri stavano a vedere cosa succedeva sono partito per primo, ed è stata la scelta giusta. La seconda l'hai vista?

Ho visto qualcosa..
L'ho rivista mille volte ma ancora mi emoziono.
E ripercorriamo sul suo computer quei 32 secondi del fantastico recupero sull'incredulo Sergio Luis Henao Montoya raggiunto e superato a pochi metri dal traguardo dopo la tappa ai piedi dei monti Tatra.
Non credevo di raggiungerlo, io ero scattato per vincere lo sprint per il secondo posto - ci confida con la semplicità di un giovane che corre per vincere senza bleffare.