Visitando il sito web della rivista “L’Eco delle Dolomiti”, mi è venuta subito in mente una piccola nota che scrissi ormai diversi anni fa nella “Grande Savana”, il confine tra Venezuela e Brasile, che mi prendo la libertà di riprodurre qui quale introduzione al presente articolo.
Vogliamo offrirti una riserva naturale che, stando alle ricerche geologiche, è una delle più antiche formazioni del pianeta, se non addirittura la più antica. E’ come se Madre Natura stessa, cosciente degli avvenimenti del nostro tempo, avesse voluto preservarla per i suoi figli. In questo ancestrale (arcaico) tempio naturale il tempo si ferma e ti invade un profondo silenzio. Rispondendo al richiamo degli oscuri altipiani che spuntano dietro alle nuvole celando o svelando i loro misteri al capriccio degli dei, nella tua anima si risvegliano immagini e ricordi vividi e significativi.
Noi viviamo protetti da questi paesaggi incantati, siamo figli del mistero di questa terra, ne ascoltiamo il richiamo, capiamo il suo linguaggio, le strane canzoni delle sue cascate e dei suoi fiumi impetuosi, le intangibili presenze delle sue foreste e dei suoi boschi rigogliosi. I nostri sguardi riflettono gli illimitati orizzonti delle sue savane.
Ed è proprio a causa delle circostanze che il mondo sta vivendo che ci sentiamo spronati a renderti accessibile, a condividere con te che ti richiami a tale paesaggio incantato, questa esperienza primigenia. Ma ti avvertiamo che la chiave di tutto risiede nel silenzio meravigliato del tuo sguardo, nella purezza del tuo desiderio”.
Accade che questi meravigliosi paesaggi sono accompagnati sempre da un meraviglioso e silenzioso stato uditivo e visivo o che ne sono l’eco. Tuttavia in essi, prima o poi, a causa della condizione del libero arbitrio della coscienza umana, entra in scena la marea del tempo. Sulla spiaggia del mondo le sue onde giungono e si ritirano aritmicamente.
Quale conseguenza dell’accumulo delle esperienze e delle conoscenze delle generazioni che si susseguono una dopo l’altra, le onde e i venti si agitano sullo scenario naturale e sociale fino a condurci a questi crocevia storici, che non sono altro che maree e cicli maggiori del tempo in cui gli animi sono estremamente agitati e irrequieti.
Così, si comincia a parlare di conflitto tra civiltà e culture: l’altra faccia inevitabile del dialogo tra esse. Basta ripercorrere il sentiero della storia, risalire controcorrente le maree del tempo, per comprendere che questo non è un fenomeno nuovo, ma che precede sempre la fine e l’inizio di ogni civiltà. Ma questa volta possiamo stabilire una differenza: ci troviamo di fronte a una civiltà globale, strettamente collegata dai mezzi di comunicazione e di trasporto, che rende inevitabile il fatto di riconoscere che non esiste isolamento nazionale o culturale possibile.
In altre parole, che ci piaccia o no, abbiamo dinnanzi un destino comune. D’ora in poi o cammineremo insieme aprendo le porte di un nuovo futuro o torneremo indietro nel tempo. Per scegliere la prima opzione, ancora una volta occorre riconoscere che tutti i fenomeni che contempliamo nel mondo con una certa incredulità (perché predicono quanto non credevamo o non volevamo credere che potesse accadere secondo il nostro modello mentale) sono sempre accompagnati da (o sono l’eco inevitabile di) quello stato di agitazione e nervosismo che presagisce, anticipa, la fine e il nuovo inizio di una civiltà. Nel mondo dell’intenzionalità, del libero arbitrio, ossia degli esseri umani, occorre riconoscere le alternative per poter scegliere. Possiamo e, certamente, dobbiamo amare molto la nostra cultura e le nostre tradizioni, vale a dire le nostre credenze e le nostre abitudini, poiché bene o male ci hanno portato fino a qui.
Ma quando esse cominciano a degradare il nostro habitat, quando cominciano a disumanizzare il mondo rendendo la vita sempre più difficile, è ora di ringraziare i nostri compagni di strada, la nostra eredità generazionale e storica, e congedarci da essi con un pizzico di nostalgia per intraprendere il cammino verso un nuovo domani. Non mi sembra che si tratti precisamente di un dialogo tra civiltà, anche se, ovviamente, l’inquietudine ci porta a vedere nemici ovunque. Ho piuttosto l’impressione che si tratti di un’apertura culturale al nuovo mondo che si presenta ai nostri sensi, che bussa alle porte della nostra coscienza collettiva e che ormai non possiamo più interpretare con sguardi, credenze e abitudini di ieri.
La sfida sembra essere dunque quella di aprire e di trascendere le nostre culture, per riunirci in una nuova direzione comune verso il futuro che, come si dice nella presentazione de “L’Eco delle Dolomiti”, deve trascendere il sogno dell’immaginazione per diventare vivibile. Perché è la vita stessa a porci dinnanzi a esigenze concrete e ineluttabili. Non esiste cultura, razza, religione, sesso o generazione capace di sottrarsi a questa sfida oggettiva. Perciò, non si tratta tanto di dialogare tra noi, quanto piuttosto di apprestarci a comprendere la portata di tale sfida e di dare le risposte adatte che spingano strutturalmente la vita naturale e umana verso nuovi e migliori futuri.
Esistono esigenze sociali, umane ed ecologiche nei confronti delle quali non possiamo essere già diventati ciechi. Non possiamo continuare a contaminare l’atmosfera, non possiamo proporre di coltivare il mais per poi trasformarlo nel combustibile ecologico proprio di quei veicoli che la inquinano, esaurendo inoltre le terre che devono produrre gli alimenti di un terzo dell’umanità vittima già della fame e delle malattie.
Non ci sono scuse che tengano per invadere un paese, per essere complici silenziosi della morte di gente innocente, per appropriarci del petrolio che rende possibile la continuità di uno stile di vita ormai sfinito e improponibile, anziché riconoscere e cominciare a lasciarci alle spalle le cattive abitudini di uno spreco inutile che non faranno altro che condurci nuovamente al disastro e alla barbarie. Non possiamo pertanto continuare a vivere in una società fondata sulla democrazia rappresentativa in cui altri assumono allegramente niente di meno che le decisioni sulla vita o sulla morte della nostra specie. Abbiamo bisogno di creare e di poter accedere a meccanismi partecipativi e decisionali ampi e dinamici ottimamente realizzabili mediante le moderne tecnologie della comunicazione in grado di trasformare lo spazio e il tempo in un qui-ora. Disponiamo di tutto ciò che è necessario, non solo sul piano tecnologico ma anche su quello storico, per sapere che sono state sempre le grandi sfide a stimolare il meglio della nostra creatività e dei nostri sentimenti di solidarietà. Non dobbiamo fare altro che capire quali sono le sfide e le risposte inevitabili che ci devono fornire una direzione comune capace di spingerci verso un nuovo futuro.
E’ questo, a mio parere, il dialogo o il dibattito che dobbiamo condurre a prescindere dalla nostra cultura di appartenenza in cui abbiamo avuto la fortuna o sfortuna di nascere. Perché adesso non si tratta più di eredità, di limiti, ma di possibilità di scelta. Se c’è qualcosa in grado di definire l’essere umano e la sua storia, possiamo azzardarci ad affermare che è proprio la crescente libertà di scelta che egli ha via via acquisito nei confronti della natura e della propria organizzazione sociale. Ed è proprio questo ciò di cui si tratta in questa nuova congiuntura storica, questa nuova e inevitabile possibilità. Scegliere e costruire insieme il futuro in cui desideriamo vivere. Riconoscere e lasciarci alle spalle ciò che si oppone ad esso.