Pierluigi Romani Neofigurativo Alto Per Giacometti
ESTRATTO DELL'INTERVENTO DI PHILIPPE DAVERIO
"Devo subito chiarire che io sono un uomo di pianura; per metà lombardo e per metà alsaziano. E ci sono per me due mondi dal misero indefinito che sono il mondo del mare e il mondo della montagna. Mi sono così estranei da essersi caricati negli anni di profondi misteri: li guardo con un occhio che è tipico di chi vede in questi ambiti il luogo dove si definiscono le divinità misteriose. Ed è questo luogo di divinità misteriose che ci permetterà di capire Giacometti.".
"E' fondamentale capire cos'è questa cultura bizzarra che si è sviluppata in un ambito, quello delle montagna, che inizialmente alla cultura del Mediterraneo non importava nulla. Gli uomini del Mediterraneo guardavano al mondo delle Alpi con assoluto disappunto. Le montagne cambiarono destino diventando luoghi dove rifugiarsi, più avanti come luogo in cui non si spostano più le merci ma le persone, nel VI e VII secolo la montagna è portatrice di civiltà mentre è il mare a essere barbarico. Poi luogo della grande cultura monastica e della rimitizzazione. Le Alpi saranno una ragnatela infinita dalla quale ci si può irradiare in tutte le direzioni. Ecco il motivo per il quale gran parte della politica carolingia, quando Carlo Magno penserà di rifare in chiave nuova l'impero, non sarà più mediterranea, ma dovrà fondarsi su un articolato contatto dove il mondo alpino diventa il punto centrale".
"Ecco perché trovate le più belle testimonianze di pittura carolingia fra i Grigioni e l'area di discesa verso il Trentino. Pensate solo a questo gioco infinito delle danze macabre, quella di Pinzolo, quella bergamasca, quella di Zurigo, quelle che sono aldilà delle Alpi. Le Alpi diventano un luogo con un suo immaginario. Ma la montagna poi cambia ancora, ad un certo punto è andata in crisi e il suo ruolo centrale è venuto meno. Lasciando a chi vive in montagna quel senso anche melanconico, quel senso anche frustrato che è l'altro senso che troverete sempre in Giacometti. E Giacometti stesso va rimesso in contatto con la sua origine che è la sua vera origine antropologica, l'origine di chi vive e dialoga con questa montagna, con queste paure, con queste ansie [...]".
"E con un destino in qualche modo irrinunciabile che è il destino degli uomini di montagna: lui finì la sua vita su quella strada triste e terribile di Stampa in una sorta di edificio di tronchi di legno dove fece nascere le più belle sculture del ventesimo secolo. Tornò alla montagna come spesso l'uomo di montagna fa".
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Yves Bonnefoy: "Sapeva forse Alberto che avventurandosi nella montagna si sarebbe imbattuto nel proprio destino? Certamente nel suo inconscio sì poiché fin dai primi giorni della sua vita aveva visto davanti a sé l'alto profilo della montagna attorno a Stampa delinearsi come spazio assoluto, estraneità insondabile. (...) Il volto umano, Alberto iniziava a scolpirlo, tutto sommato, in un materiale, la montagna stessa, che egli sentiva come lo spazio di ogni esistenza. Infatti i busti che lui scolpisce sono delle sfide alla morte, sono la ripresa senza fine dell'atto di conoscenza che egli aveva intrapreso partendo a cavallo per Madonna di Campiglio con il suo vecchio compagno.