QUANDO LA MONTAGNA UNISCE GLI UOMINI

Vittorino Mason

 

Una cordata di amici riporta in vita Malga Ramezza Alta

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Situata all’interno del Parco nazionale Dolomiti Bellunesi, nel gruppo Le Vette, Malga Ramezza Alta m1485, fino agli anni cinquanta servì da punto strategico per l’alpeggio che si svolgeva nelle brevi estate sui pascoli sottostanti il Sasso di Scàrnia. I malgari portavano su le manze e le vacche che servivano da carne o per i prodotti caseari e il latte. Dalla lunga Valle di San Martino partivano con le bestie e raggiungevano i pascoli che in estate profumavano di erba e fiori e rimanevano per quasi tre mesi nella Val Fratta conducendo una vita spartana a contatto con la natura. Ma l’avvento delle fabbriche e il venire meno dell’interesse per l’alpeggio, considerato le fatiche e le privazioni che questi uomini dovevano sopportare, piano piano fece sì che questi rimanessero sempre più in basso e poi prendessero altre direzioni che magari li attiravano verso la Pianura piuttosto che in alto. Iniziò così l’abbandono delle casère, delle malghe, dei lavori in montagna: la fienagione, l’alpeggio, il taglio dei boschi e altro ancora e per un bel po’ di anni la montagna venne come abbandonata, frequentata solo da cacciatori e qualche appassionato escursionista. Anche Malga Ramezza Alta subì questo destino e nel breve volgere di pochi anni decadde. Solo negli anni ottanta un gruppetto di volontari di Vignui decise di intervenire per fare qualche lavoretto; invece nel 1988 l’incontro e l’amicizia tra un gruppo di appassionati escursionisti feltrini, che conoscevano bene la zona della malga, con un altro gruppo “I Camòrz”, che condividevano gli stessi interessi, fece nascere l’idea di ripristinare Malga Ramezza Alta. Un punto strategico nella percorrenza dell’Alta Via nº 2 che collega il Rifugio Dal Piaz con il Rifugio Boz e punto d’appoggio importante anche per chi sale dalla Valle di S. Martino che fino a non molti anni fa era pochissimo frequentata.
Il restauro si svolse in due fasi: la prima con il trasporto a spalla di tavole, pali, pezzi di ferro, lamiere, cemento, (la sabbia venne ricavata da un greto di un torrente vicino la malga), grondaie, l’arredamento e tutti gli attrezzi che di volta in volta venivano portati su e riportati giù. In una domenica eccezionale ci furono cinquanta persone che portarono su di tutto. Una carovana di gente che non si era mai vista da quelle parti: ragazzi, bambini, donne, uomini e vecchi tutti accomunati da una grande passione e volontà, coinvolti emotivamente dall’entusiasmo per il recupero di una malga che rappresentava molteplici significati. Per certuni non era solo il recupero di una struttura andata in disuso; era riportare in vita la storia di quel luogo, radici, tradizioni, le foto ingiallite di quegli uomini: padri, nonni, che le avevano abitate, era ritrovare in quei volti la propria storia, il significato di un’esistenza. Nella seconda fase vi fu l’avvio dei lavori veri e propri alla quale si dedicarono sei persone. L’operazione di restauro terminò nel 2000, ma l’inaugurazione con la celebrazione della santa messa alla quale parteciparono oltre cento persone, avvenne il 26 ottobre del 2001. Addossata a un caratteristico roccione, la malga si affaccia nell’alta Valle di S.Martino tra due spalti rocciosi, le Pale del’Ai a est e la Costa Alpe Ramezza a ovest ed è adagiata tra i pascoli, oramai rimboscati dalla vegetazione, sottostanti i contrafforti rocciosi del Sassodi Scàrnia. La vecchia pendana, il ricovero all’aperto con solo tettoia che fungeva da stalla per le vacche, si trova duecento metri sotto lungo il sentiero di salita, ma oggi non rimane che un muretto buono per le vipere. Nel corso di questi ultimi anni il recupero della malga ha contribuito a incrementare l’escursionismo in Valle di S. Martino, offrendo la possibilità di collegamenti e giri ad anello, oltre a risultare di per sé una meta remunerativa. L’unico handicap è l’assenza di acqua che la si può recuperare inoltrandosi a sud-ovest della malga, sul sentiero delle Fontanìe (a sud-est delle propaggini del Col de la Madona) dove a 30 minuti si trova una buona sorgente.
Questi luoghi, che per decenni hanno ascoltato la dolce melodia dei campanacci e assaporato il dolce profumo del fieno che sapeva di fiori ed altre essenze, non possono essere dimenticati. Ogni sentiero, roccia, sasso, albero, segno è come un pezzo di noi che la memoria arcaica ci rimanda a testimonianza di una presenza che neppure il tempo può scordare. Mi piace pensare che, come San Martino strappò il suo mantello per darlo a un povero, anche questo gruppo di amici appassionati di montagna, seguendo il suo esempio, abbiano dato qualcosa di loro: tempo, fatica, sudore anche per gli altri. Segno questo che la montagna, al di là di tutto, è un luogo che unisce gli uomini come in una cordata in cui ognuno non può che prescindere dall’altro.

La giazzera del Monte Ramezza
La storia della giazzera del Monte Ramezza, ha inizio nell’agosto del 1921 quando un manipolo di una quindicina di uomini di Lasèn, un paesino alle pendici meridionali del Monte S. Mauro (Alpi Feltrine) reduci dalla guerra e ridotti alla fame, viene assoldato da due intraprendenti personaggi del posto: Giosuè Miniati e Umberto De Paoli, per cavare ghiaccio per conto della Birreria Pedavena. I due avevano stipulato un accordo con i fratelli Luciani della birreria garantendo ogni giorno 15 quintali di ghiaccio cristallino, senza neve, che doveva pervenire alla pesa pubblica di Pedavena ogni giorno. Il pagamento doveva venire alla fine della consegna dei 150 quintali richiesti, calcolando un valore di L.35 a quintale,quasi 15 lire più di quanto si pagava quello industriale. La birreria avrebbe consegnato ai cavaghiaccio 30 sacchi robusti che servivano per coprire il ghiaccio durante il trasporto e un segone a mano. Terminato il lavoro a tutti i lavoranti sarebbe stata offerta in ditta una merenda con due “grandi” di birra.
Durante la guerra del 1915-18, dopo la disfatta di Caporetto, Feltre e Belluno si trovarono sotto il dominio delle truppe austro-asburgiche e nel 1918 queste prelevarono tutto ciò che c’era di metallo per asservire l’industria bellica. Alla birreria vennero requisiti tra le altre cose gli impianti di refrigerazione bloccandone la produzione di birra che a quei tempi si aggirava in circa 30.000 ettolitri annui. Le vicende della birreria si agganciano alla caverna di Ramezza, già conosciuta nella metà del 1800, al bisogno di lavoro della povera gente dei paesini montani. Parte così “L’estate di ghiaccio” di questi uomini che per una quindicina di giorni salirono e scesero per la Valle di S. Martino e la Val Fratta e poi il Valòn del Peròn fino alla grotta del Giazzera per prelevare il ghiaccio e portarlo giù. Slitta in legno di frassino in spalla (circa 30 chili) partivano da poco dopo la calchèra dove ci sono ancora dei muretti a secco che servivano come deposito per il ghiaccio, e salivano fino ai 1860 metri della Giazzera. Qui si calavano in grotta con un breve salto e dopo il cono nevoso si piazzavano nel vasto salone di ghiaccio dove estraevano i blocchi. Si dice che i blocchi pesassero mediamente dai 35 ai 50 chili e per ogni viaggio ne portassero a valle sei otto pezzi. Che forza bestia dovevano avere questi uomini, ma forse era la forza della disperazione! Una volta portati giù i blocchi venivano caricati sui carri di legno e trasportati con i buoi fino a Pedavena lungo la Val S.Martino e attraverso i paesini di Vignui e Pren. Fatto il primo giro, dopo una parca merenda, i cavatori risalivano ancora una volta fino alla Giazzera dove trascorrevano la notte all’addiaccio arrangiandosi con qualche telo, dormendo sotto un anfratto. Il mattino dopo all’alba scendevano giù con il carico, risalivano e scendevano un’altra volta. Un lavoro duro, strenuo che era allietato dall’idea che ognuno poteva portare a casa un buon gruzzoletto per sfamare la famiglia e dall’atmosfera animata che avvolgeva quei luoghi in quel periodo. Si deve pensare che oltre ai cavatori di ghiaccio, boscaioli, carbonai, la gente che andava a pascolo con le mandrie di vacche e pecore, c’era la vita di malga (ce n’erano almeno 15 di Ere, malghe, in quel vallone) insomma tutto un brulicare di volti, voci, umori, canzoni, storie e chiacchiere che animava e dava colore a quel povero mondo di “ultimi” reduci da una guerra che aveva messo in ginocchio tutta l’economia. Fu una stagione breve, una storia che si ricorda poco; ora la Giazzera riceve visite solo da qualche escursionista particolarmente curioso e attento o dagli speleologi, ma quel breve lasso di tempo consumato in un su e giù di slitte e ghiaccio sulle spalle, riecheggia e riverbera ancora le imprecazioni, le risate, il sudore, lo sforzo di tutti quegli uomini che per necessità hanno tracciato la via della montagna. Risalendo la Valle di S.Martino, nel silenzio dei boschi di faggio, par di sentirle e vederle ancora quelle voci.

La chiesa di San Martino in Valle
La chiesa è intitolata al vescovo di Tours, militare romano convertitosi al cristianesimo contro la volontà paterna, noto per aver diviso il suo mantello con un povero. La sua festa ricorre l’11 novembre, cioè quando si chiudeva la stagione agricola; nella tradizione popolare egli divenne quindi patrono degli osti, dei vendemmiatori e dei vignaioli. L’oratorio, fondato su preesistenze medioevali, risale nelle forme attuali alla fine del XVI secolo. All’interno, la spaziosa navata è completamente affrescata a grandi riquadri molto rovinati e di difficile interpretazione, che sembrano realizzati da un’unica mano e che potrebbero essere stati conclusi entro il 1594, data di consacrazione della chiesa. Raffigurano Scene della vita di san Martino e Scene della vita di Sant’Antonio da Padova.

Una proposta per conoscere i dintorni di Malga Ramezza Alta La Giazzera del Monte Ramezza
Bella escursione a giro che permette di visitare questa grande voragine che si apre a circa 1800 metri di quota sulla conca racchiusa tra il Monte Ramezza 2250 m e il Col Veriòl 2173 m , nascosta tra le propaggini sud-est del Col de la Madona in una zona di impluvio carsico conosciuta come Sfondrà: grande ricovero usato dai pastori che portavano le pecore a pascolare da quelle parti. Risalendo il Valòn del Peròn compare all’improvviso sulla sinistra, sotto la Costa Brusada, nascosta tra due speroni rocciosi. Dalla Valle di S. Martino, parcheggio a metri 560, fino a poco prima della Malga Ramezza Alta 1485 m, ore 2 come per l’itinerario numero 2. Poco prima della malga s’incontrano i ruderi della pendana (stalla) di Ramezza. Sulla sinistra, nei pressi del muro a secco della vecchia pendana, si dirama una traccia che volge verso ovest puntando a una macchia di mughi. La si percorre fino al limite dei mughi e la faggeta dove si volge a destra per andare a risalire il ripido pendio boscoso che più su lascia spazio ai mughi. Continuando ci si porta sotto una paretina andando ad imboccare un evidente canalone, il Valòn del Peròn, in parte coperto di mughi, ometti. Si prosegue tra mughi e fasce di pascolo magro per poi spostarsi verso destra all’altezza di una fascia di rocce. Più sopra la traccia un po’ si perde tra i mughi, si sale in diagonale verso sinistra e la si ritrova. Una volta imboccato il ripido pendio con sopra un colletto erboso, lo si risale tutto seguendo la traccia e gli ometti pervenendo così al buco della giazzera, 1860 m., ore 1, che appare all’improvviso sulla nostra sinistra. Oggi non c’è più la neve a due metri dall’entrata, come un tempo, ma a circa otto. Seguendo gli ometti, dalla voragine si prosegue in salita sul pendio carsico della Sfondrà contrassegnato da campi carreggiati, buchi e doline, si rimonta sull’alta Via n° 2 a circa 2050 metri di quota sotto il Monte Ramezza. Si volge a destra, est cominciando a calarsi verso il bivio dello Scarniòn a 1900 m. dove si devia a destra per andare ad attraversare un taglio di mughi che attraversando sotto le propaggine rocciose del Sasso di Scàrnia 2227 m, conduce alla Forcella di Scàrnia 1598 m , ore 1.15. Da qui in 15 minuti si perviene a Malga Ranmezza Alta 1485 m e come per l’itinerario di salita in circa 1.30 si ritorna al punto di partenza.

Dislivello: 1500 metri
Tempo:
ore 6 Difficoltà E.E.
Periodo consigliato:
da maggio a ottobre
Punti di appoggio:
Malga Ramezza Alta (tavolato per 8 posti e focolare)
Accesso:
da Feltre come per l’itinerario n°2


 

 
 
 
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