NUMERO 9

     

INCOMPRENSIONE

Antonín Kosík

 

 

Carmen Muñoz conobbe Juan González nella primavera dell’anno in cui si moltiplicarono i cani randagi e che precedette la grande inondazione. I cani che scorazzavano per i campi erano così numerosi che devastavano le messi, sbucavano da ogni dove, avevano gli occhi paciosi e la lingua penzoloni e non era affatto chiaro come potessero sfamarsi in così tanti. La gente ci si era abituata, prendeva a calci loro invece che le pietre per strada e l’anno dopo, quando la maggior parte dei cani era annegata nell’inondazione o era stata trasportata chissà dove alla deriva, spesso si ricordava dei loro numeri.
Carmen raggiunse Juan sotto l’antenna delle telecomunicazioni, dove lui rimaneva spesso accovacciato. Quel giorno non si era potuto concentrare troppo sulla sua consueta osservazione di formiche e farfalle.
“Adoro i tuoi occhi” gli disse, sedendosi accanto a lui.
“E le spalle?” domandò Juan incredulo.
“Anche le spalle, hai le spalle più belle del mondo. Senza le tue spalle la mia vita non significa nulla.”, lo rassicurò, “Se qualcun’altra volesse abbracciarle la caccerei via con il forcone. Ti ho aspettato per tutta la vita.”
Juan alzò le spalle e si incamminò verso casa con Carmen.
Passavano i giorni; di notte dormivano abbracciati stretti e di giorno progettavano come avrebbero festeggiato gli anniversari del loro incontro e del loro matrimonio. “Adoro i tuoi occhi” gli diceva Carmen ogni giorno. “E le spalle?” domandava Juan incredulo. “Le tue spalle sono le più belle del mondo, senza di te la mia vita non significa nulla, ti ho aspettato per tutta la vita, se la figlia del fruttivendolo ti si avvicina un’altra volta la caccio via con il forcone.”, continuava a rispondere Carmen, anche quando la figlia del fruttivendolo si era ormai sposata chissà dove.
Passavano i giorni; all’inizio Juan continuò ancora per qualche tempo a recarsi ad osservare farfalle e formiche sotto l’antenna della telecomunicazione per abitudine, dopo un po’ si dimenticò completamente del perché ci andasse. “Adori i miei occhi?” domandava Carmen. “Senza di te la mia vita non significa nulla” gli diceva, mentre la notte si risvegliava da sogni in cui era inseguita dal diavolo in diverse forme. Juan cominciò a non dormire più tanto bene e Carmen si mise a seguire un corso telepatico di alimentazione sana, imparò a distinguere il maiale dal manzo e a stabilire quando sarebbe arrivata la fine del mondo, tanto che si dimenticò degli anniversari del loro matrimonio e del loro incontro. L’insegnante telepatico non era tuttavia soddisfatto dei progressi di Carmen: “Chi vi sta vicino e vi impedisce di spiccare il volo, vi sta limitando. Si compri una gonna nuova e una barretta energetica dal catalogo”. Non appena arrivò il pacco con la gonna nuova e la barretta energetica comunicò a Juan che non si sarebbe lasciata tenere in gabbia e che non avrebbe sopportato oltre le limitazioni che lui le imponeva, non si sarebbe più lasciata impedire di spiccare il volo. “Senza Carmen la mia vita non significa nulla”, venne in mente a Juan, “ha degli occhi splendidi”. Ascoltò quindi ancora una volta ciò che era abituato a sentire da anni, ma non riguardava più i suoi occhi e le sue spalle e non era diretto alle sue orecchie.
Passarono i giorni; quell’anno i cani randagi si moltiplicarono, erano affamati e alcuni attaccavano le persone. Juan si recava regolarmente all’antenna della telecomunicazione, contava senza interesse le farfalle e le formiche, ma non compariva nessuno.

Disegni di Juan Kalvellido

 
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